Conduzione elettrica e leggi di Ohm


Corrente elettrica e velocità di deriva

Se si applica agli estremi di un conduttore una d.d.p. V, si osserva un flusso di carica (corrente elettrica), definito come

i=dq/dt (1)

Convenzionalmente, si assume che a spostarsi siano i portatori di carica positiva; pertanto, il senso dello spostamento risulta opposto al gradiente del potenziale.

Tale flusso è da attribuire alla presenza nel conduttore di elettroni liberi (elettroni di conduzione, vedi oltre).

Se il conduttore fosse isolato, essi si comporterebbero alla stregua di atomi di un gas perfetto, soggetti ad un moto caotico di velocità media ; le continue collisioni, assimilabili ad urti elastici, provocano continui cambiamenti di direzione, che fanno sì che lo spostamento globale di carica sia nullo.

Ma applicando una d.d.p., si produce un campo elettrico , per effetto del quale gli elettroni vengono accelerati con accelerazione a=Ve/md (equazione di Van der Graaf): ne risulta uno spostamento complessivo di carica, che, poiché ciascun elettrone perde ad ogni urto l'informazione sul suo moto precedente, avviene con velocità v=Veτ/md (velocità di deriva, con τ tempo libero medio fra due collisioni).

Sia n la densità elettronica (n° di ee. per unità di volume); allora i=neSv, e infine

a=Ve/md (2)


Resistenza e leggi di Ohm

Si definisce resistenza il rapporto fra la d.d.p. applicata e la corrente che ne risulta:

a=Ve/md (3)

Sostituendo la #1 nella #2, e sostituendo poi i nella #3, si ottiene:

(4)

La resistenza dipende dalla lunghezza d e dalla sezione S del conduttore, e dalla resistività ρ (v. oltre)

Se nelle relazioni #3 e #4 consideriamo costante la resistenza, otteniamo le c.d. "leggi di Ohm".

Queste asseriscono che in un conduttore è il rapporto fra d.d.p. applicata è pari ad una costante (#3), che dipende da natura, lunghezza e sezione del conduttore (#4). In natura tale legge è un'approssimazione, che fallisce nel caso di temperature molto basse, conduttori drogati, ecc. In generale, un conduttore è detto "ohmico" quanto più il suo grafico i-V presenti un andamento lineare. Per potenziali alti e campi elettrici molto forti, si registrano comunque forti scostamenti.


Resistività e materiali

La resistività di un materiale è un indice della "resistenza" che questo oppone al passaggio delle cariche. La sua espressione "atomica" è:

(5)

La massa e la carica dell'elettrone sono costanti; il numero di elettroni liberi e il tempo libero medio dipendono dalla natura del materiale e dalle condizioni in cui esso viene posto. In particolare, la relazione fra resistività e temperatura è ben approssimata dalla legge:

(5b)

nella quale α, detto coefficiente termico di resistività, è specifico di ogni materiale alla temperatura T0 (pari di solito a 20° C).

La seguente tabella elenca alcuni materiali, indicandone i valori di ρ e α.

Materiale ρ (Ω/m) α
Tabella 1. Materiali, resistività e coefficiente termico.

Seguendo lo spettro della resistività nel verso crescente, si va dai buoni conduttori (ρ dell'ordine di 10-8 Ω/m), ai buoni isolanti (ρ dell'ordine di 10-8 Ω/m), passando per la categoria intermedia dei semiconduttori, i quali godono però di proprietà particolari.

Un cenno a parte merita il fenomeno della superconduttività.

:: Superconduttività

Nel 1911 il fisico olandese Kamerling Onnes (1853-1926) scoprì che, portando il mercurio a una temperatura inferiore a 4,23 K, la sua resistività si "annulla", riducendosi di un fattore di circa 10-13.

Studi successivi hanno evidenziato che il fenomeno, cui si da il nome di superconduttività, è comune a numerosi metalli e alcune loro leghe, detti per questo superconduttori. La Tabella 2 riporta per una serie di materiali i valori della temperatura a partire dalla quale tale proprietà si manifesta (temperatura critica).

Materiale Tc (K)
Tabella 2. Superconduttori e temperatura critica.

Associato alla superconduttività è anche il diamagnetismo perfetto, che tali sostanze manifestano in quelle particolari condizioni, e che prende il nome di effetto Meissner.

Lo sfruttamento tecnologico di tali proprietà a scopo industriale è parso a lungo un obbiettivo irraggiungibile, impraticabile a causa degli elevatissimi costi necessari a ricrearne le condizioni. Una svolta in tal senso si ebbe nel 1986, quando Bednorz e Muller riuscirono a sintetizzare composti di natura ceramica (ossidi complessi realizzati attraverso la combinazione di elementi metallici e non) dalla temperatura critica più elevata (35 K), scoperta che peraltro fruttò loro il premio Nobel già l'anno successivo. Di recente tale soglia è stata innalzata fino ai 250 K, rendendo più vicino il miraggio della realizzazione di applicazioni ipertecnologiche.


La conduzione da un punto di vista atomico

Secondo il modello atomico proposto dalla meccanica quantistica, gli elettroni si trovano confinati in buche di potenziale. In conseguenza di ciò, le loro energie sono quantizzate, ovvero possono assumere solo determinati valori, detti livelli energetici. Essi si presentano raggruppati in bande, la più esterna delle quali è detta banda di valenza. Per il principio di esclusione di Pauli, ogni livello può essere occupato da un solo elettrone.

All'interno di un reticolo cristallino, la barriera di potenziale che "separa" i vari atomi è minore più "bassa" dell'altezza della buca. Gli elettroni che si trovassero entro tale intervallo energetico, detto banda di conduzione, potrebbero muoversi liberamente fra gli atomi del reticolo, divenendo così elettroni di conduzione.

Nei materiali conduttori, la banda di valenza è piena solo in parte, e prossima alla banda di conduzione. Di conseguenza, la somministrazione di una piccola quantità di energia mediante agitazione termica basta affinché, anche a temperature ordinarie, gli elettroni di valenza compiano il "salto". Con l'aumentare della temperatura, mentre il numero degli elettroni disponibili non varia sensibilmente, diminuisce il tempo libero medio fra collisioni elettroniche, pertanto la resistività tende ad aumentare.

Negli isolanti, la banda di valenza è completamente saturata, ed un intervallo energetico importante la separa dalla banda di conduzione. Pertanto, nessuno degli elettroni riesce a compiere il "salto" e la conduzione elettrica risulta impossibile.

Nei semiconduttori, la banda di valenza è anch'essa piena, ma è prossima alla banda di conduzione, cosicché aumentando la temperatura incrementa significativamente il numero di elettroni di conduzione. A confronto, la maggiore agitazione termica è trascurabile; pertanto, la resistività di tale classe di materiali diminuisce all'aumentare della temperatura. Inoltre, essa può essere considerevolmente ridotta mediante la aggiunta di impurità (v. oltre).


Il drogaggio dei semiconduttori

Elementi del quarto gruppo, quali il germanio e il silicio, si trovano allo stato puro in reticoli cristallini, all'interno dei quali ciascun atomo è al vertice di un tetraedro e forma con gli atomi adiacenti quattro legami di tipo covalente. Già a temperature ordinarie, alcuni elettroni si liberano per agitazione, provocando la ionizzazione degli atomi di provenienza. In presenza di un campo elettrico esterno, questi possono fungere da lacune di carica positiva, favorendo con un meccanismo a catena il processo di conduzione. Materiali che assumono un comportamento simile sono detti semiconduttori intrinseci. Le loro proprietà elettriche risultano fortemente alterate dall'aggiunta di impurità opportunamente dosate (drogaggio), nei seguenti due modi:

Semiconduttori di tipo n ("negativo")
Vengono aggiunti atomi pentavalenti (p.es. di fosforo), che fungono da donatori in quanto tendono a "liberare", già a temperatura ambiente, l'elettrone della fascia di valenza che non viene coinvolto nei legami di struttura. Il ruolo svolto dagli elettroni liberi è preponderante rispetto all'azione coaudiuvante esercitata dalle lacune: pertanto, gli uni si dicono portatori maggioritari di elettricità, le altre portatori minoritari
Semiconduttori di tipo p ("positivo")
Vengono aggiunti atomi trivalenti (p.es. di boro), che fungono da accettori in quanto, nella formazione dei legami, ricevono un elettrone dagli atomi vicini, trasformandosi in ioni negativi. Per la conduzione è fondamentale il movimento delle lacune (portatori maggioritari), piuttosto che quello degli elettroni (portatori minoritari).

I componenti dei circuiti elettrici


Gli strumenti di misura

:: Lo strumento magnetoelettrico

Si tratta di uno strumento analogico per la misura di correnti dell'ordine dei mA o dei μA (milliamperometro o galvanometro di Arsonval). Si basa sulla forza prodotta dall'interazione fra la corrente continua i del circuito e l'induzione magnetica B.

E' costituito da un magnete permanente, al cui interno è posto un nucleo cilindrico di materiale ferromagnetico. Ciò genera un campo magnetico radiale uniforme attorno all'asse del cilindro. Un telaio anch'esso cilindrico è libero di ruotare attorno al nucleo per mezzo di un perno. Su di esso è avvolta una bobina elettrica, e l'indice della scala graduata gli è solidale.

Allora, se la bobina è un solenoide costituito da N spire, ha lunghezza L e diametro H, il passaggio di una corrente i dà origine a una coppia motrice . Una molla a spirale, a riposo in assenza di corrente, fornisce un momento torcente di richiamo proporzionale alla deflessione angolare (δ): .

All'equilibrio, si ha:

(6)

La deflessione risulta proporzionale alla corrente continua oggetto di misura, pertanto la scala è omogenea. La costante S fornisce la sensibilità dello strumento in rad/A. Essa dipende da caratteristiche geometriche e funzionali dello strumento, e può essere più convenientemente espressa in div/mA o div/μA.

:: Voltmetro analogico

E' possibile stimare la d.d.p. esistente fra due punti del circuito collegandovi un galvanometro in parallelo. Nota la sua resistenza interna RM, la tensione è V = RM·i. Nella pratica tale procedimento si rivela inefficace per almeno due motivi:

  • il fondoscala del galvanometro sarebbe troppo basso per misurare tensioni dell'ordine del Volt;
  • data la scarsa resistenza incontrata, attraverso il galvanometro fluirebbe una corrente assai intensa.

Pertanto, per accrescere la portata dello strumento e diminuirne l'alterazione del flusso di corrente nel circuito, si inserisce una resistenza Rv in serie al galvanometro. In particolare, se IFS è il valore di fondoscala del galvanometro e VFS quello che si desidera ottenere dal voltmetro, occorre inserire una resistenza addizionale , dove SV è la sensibilità dello strumento. Si noti che la resistenza del galvanometro risulta trascurabile.

:: Amperometro analogico

La portata di un galvanometro può accrescersi notevolmente mediante l'impiego di resistori collegati in parallelo (derivatori o shunt) a un circuito voltmetrico. In questo caso, detta Rs la resistenza equivalente degli shunt, si ha:

(7)

Si riesce così a risalire al valore della corrente di linea dalla misura di una sua parte. Se è Rv»Rs, con buona approssimazione è i=DV/Rs.

Si può perfezionare ulteriormente lo strumento dotandolo di 4 morsetti, due voltmetrici e due amperometrici, di modo da escludere dal circuito voltmetrico le connessioni amperometriche, che vi introdurrebbero consistenti errori.

:: Specifiche degli strumenti

Portata
E' il valor massimo misurabile dallo strumento.
Risoluzione
E' la minima quantità osservabile. E' più frequentemente espressa relativamente alla portata (r. relativa).
Sensibilità
E' il rapporto fra la minima variazione in uscita e la corrispondente variazione nell'ingresso. Per gli strumenti analogici si esprime in div/Δx, per quelli digitali è il più piccolo scarto misurabile.
Accuratezza
Rappresenta l'accordo del valore misurato con il valore reale, dunque è un indice della qualità della misura. Può venire attribuita mediante l'assegnazione dello strumento a una classe di precisione.
Classe di precisione
E' la massima incertezza riscontrabile in una qualsiasi lettura lungo la scala, espressa relativamente al valor massimo di fondoscala:
L'incertezza può anche essere espressa con due termini, relativi l'uno al fondoscala, l'altro al valor letto. In questo caso, la misura VL risente al massimo di un errore:
Negli strumenti digitali, l'error massimo è caratterizzato da un numero di cifre o conteggi, che va rapportato al numero totale di conteggi presenti in fondoscala.
Condizioni nominali, limite e di riferimento
Sono quelle entro cui sono garantite, rispettivamente, l'operatività dello strumento, la sua resistenza ad un danneggiamento permenente, la riproducibilità delle prove di verifica o della sua taratura.

I generatori di f.e.m.

Si tratta di dispositivi in grado di instaurare una differenza di potenziale fra i due punti del circuito cui vengono applicati.

Una loro classificazione può venir stilata a seconda della natura della forza che compie il lavoro necessario. Si parlerà allora di f.e.m.:

  • da induzione elettrostatica (triboelettrica o di strofinio);
  • voltaica;
  • termoelettrica;
  • piezoelettrica;
  • fotoelettrica.

In generale, una parte del lavoro verrà dissipato sotto forma di energia termica. Si definisce rendimento il rapporto fra la potenza utilizzata e quella generata:

(8)

La dissipazione si spiega attribuendo al generatore una resistenza interna Ri. Così, se R è il carico complessivo del circuito, si avrà:

(8b)

Un generatore ha rendimento unitario solo se la sua resistenza interna è nulla: in questo caso è un generatore ideale.

Passiamo ora in rassegna alcuni modi di generare una f.e.m.

:: Macchine triboelettriche

Sono macchine elettrostatiche che sfruttano l'elettrizzazione da strofinio per accumulare tensione, il cui rilascio avviene in modo quasi istantaneo.

Nella macchina di Whimshurst, dei listelli metallici sono posti sopra due dischi di materiale isolante. Quando i dischi vengono messi in rotazione, i listelli "sfregano" su appositi feltri, accumulando la carica in una bottiglia di Leyda.

Il generatore di Van Der Graaf è costituito da un tubo isolante, una cinghia di materiale pure isolante e una sfera conduttrice cava. La carica si genera dallo strofinio della cinghia messa in rotazione, e viene poi depositata sulla sfera che funge da condensatore. Benché la corrente di scarica sia dell'ordine del milliampere, la tensione prodotta può superare il milione di volt. Lo stesso ideatore della macchina ne curò una serie di sviluppi, volti ad utilizzarla per l'accelerazione di particelle cariche.

:: Generatori elettrochimici: pile e batterie

Alla base di tutti i processi elettrochimici vi sono reazioni di ossidoriduzione (redox). Esse possono avvenire in modo spontaneo, liberando energia da recuperarsi sotto forma di energia elettrica, o non spontaneo, nel qual caso viene richiesto un apporto di energia affinché possano avvenire (ad es. nei processi di elettrolisi).

Una pila elettrica (o cella galvanica) sfrutta il primo tipo di situazione. Un sistema ossidante ed uno riducente sono immersi in una soluzione; li separa un setto poroso che impedisce il rimescolamento ma consente il passaggio di ioni. A riposo, non succede alcunché, ma se si collegano le due estremità mediante un apposito conduttore, si osserva un flusso costante di elettroni dal sistema riducente a quello ossidante. Innestato in un circuito, questo dispositivo è in grado di produrre una f.e.m. costante, fino all'esaurimento del materiale.

Il gradiente di potenziale è determinato dai differenti potenziali di riduzione dei due sistemi, che, generalmente costituiti da barrette metalliche, si dicono elettrodi (il polo positivo, che riceve elettroni, è il catodo, quello negativo, che li cede, si dice anodo). Ciò fa sì che, all'equilibrio, nell'anodo prevalga la reazione di dissociazione degli ioni, i quali, riducendosi, esercitano una azione ossidante; nel catodo, invece, gli ioni vengono "catturati" dalla soluzione, e, ossidandosi, esercitano una azione riducente.

Il primo dispositivo di questo tipo (pila di Volta) fu realizzato nel 1801 da A. Volta, scopritore dell'omonimo effetto per cui al contatto fra due metalli diversi (giunzione bimetallica) alla stessa temperatura, si stabilisce una d.d.p. indipendente dall'estensione del contatto e caratteristica della natura dei metalli (oggi possiamo dire: pari alla differenza dei potenziali di estrazione).

Un suo perfezionamento è dovuto a J.F.Daniell (pila di Daniell). Gli elettrodi giacciono in semicelle separate, immersi in soluzioni diverse. Un ponte salino, costituito da un tubo a U rovesciato contenente una soluzione di ioni e chiuso alle estremità con tamponi di ovatta, agisce da mezzo conduttore e preserva l'elettroneutralità delle soluzioni.

Oggigiorno, però, è assai più diffusa la pila a secco o pila Leclanché (dal nome del chimico francese che la inventò negli anni '60 dell'Ottocento), più compatta e maneggievole. A questa categoria appartengono:

pile zinco-carbonio
[→ fig. 2]
fra un rivestimento di zinco, generalmente a forma di barattolo (anodo) e un bastoncino di grafite (catodo), si interpone una pasta umida di cloruro di zinco, cloruro di ammonio e biossido di manganese, che agisce da depolarizzante. La f.e.m. iniziale si aggira intorno agli 1.5 V, ma diminuisce presto a causa della lentezza della depolarizzazione. Se la pila viene lasciata a riposo, tale processo ha modo di esplicarsi e le prestazioni tornano quasi al livello iniziale, fino a che l'uso prolungato deteriora il depolarizzante rendendo la pila inservibile.
pile alcaline
derivano il loro nome dal contenuto di ossido di potassio; hanno quasi soppiantato le altre perché sono in grado mantenere una f.e.m. più stabile e più a lungo nel tempo.
pastiglie al mercurio
pile alcaline che utilizzano di ossido di mercurio come catodo. Hanno la forma di un bottone, piccole dimensioni e mantengono una f.e.m. di 1.34 costante per l'intero periodo di funzionamento, il che le rende particolarmente idonee alla alimentazione di orologi e dispositivi elettrici.

Tutti i generatori finora analizzati possiedono la caratteristica di deteriorarsi con l'uso in modo irrecuperabile (pile irreversibili).

Esiste una classe di batterie in grado di essere ricaricate facendovi passare corrente continua (fase di carica) nel senso opposto a quello di normale utilizzo (fase di scarica): esse si dicono accumulatori.

Particolarmente diffusi sono gli accumulatori al piombo (→ fig. 3), il primo dei quali fu realizzato nel 1859 dal fisico francese G. Planté.

L'elettrodo negativo è costituito da piombo metallico, quello positivo da ossido di piombo; entrambi sono molto porosi per favorire l'azione dell'elettrolita, che è acido solforico. In fase di scarica, su entrambe le piastre si produce solfato di piombo, con la differenza che il piombo si è ridotto nel catodo (numero di valenza da 4 a 2) e si è ossidato nell'anodo (da 0 a 2); questo resta attaccato alle piastre diminuendo la f.e.m. erogata, che inizialmente è di 2.1 V. In fase di ricarica ha luogo la reazione inversa, ripristinando i reagenti iniziali.

Accumulatori simili sono usualmente in dotazione degli autoveicoli: in questo caso, si hanno 6 elementi per batteria. Un effetto indesiderato si ha quando, con l'abbassarsi della temperatura, le reazioni elettrochimiche vengono inibite, di modo che, passando da una temperatura di 80° C allo zero Celsius, la capacità di avviamento di una automobile risulta diminuita del 40%!

Nei computer e nei dispositivi portatili, sono spesso installate batterie alcaline al nichel-cadmio: il catodo è costituito di cadmio, l'anodo di idrossido di nichel, l'elettrolita è idrossido di potassio.

:: Termoelettricità

Nel 1821 il fisico tedesco Thomas Seebeck osservò l'effetto che da lui prende il nome: se due materiali diversi sono posti a contatto, e l'uno è mantenuto stabilmente a temperatura più alta dell'altro, si instaura un flusso costante di elettroni dal materiale più caldo a quello più freddo. Una decina di anni dopo (1823), il fisico francese Jean Peltier scoprì l'effetto inverso, accapparrandosene anch'egli la denominazione: una corrente che scorre attraverso una giunzione bimetallica, uno dei due metalli si scalda e l'altro si raffredda.

Una applicazione dell'effetto Seebeck è costituita dall'utilizzo di termocoppie opportunamente tarate per la determinazione di una temperatura incognita attraverso la misura della f.e.m.; l'effetto Peltier trova oggi impiego in sistemi di raffreddamento miniaturizzati costituiti da semiconduttori.

Una spiegazione esaustiva dei due fenomeni fu però data solo anni dopo da T.A. Edison, scopritore nel 1883 dell'effetto termoionico, che consiste nell'emissione di elettroni da parte di conduttori sufficientemente riscaldati (laddove l'avverbio "sufficientemente" viene precisato dall'indicazione del lavoro di estrazione del metallo).

L'effetto termoionico costituisce una pietra miliare dell'elettronica moderna. Infatti, esso è base dell'invenzione dei vari tubi a vuoto nei primi anni del Novecento. Essi consentirono la manipolazione del segnale, rendendo possibile i grandi progressi della radio nel primo dopoguerra e la realizzazione dei primi computer durante e negli anni immediatamente successivi alla seconda Guerra mondiale. Nel 1948 fu inventato il transistor, che soppiantò i tubi a vuoto dei quali svolgeva le stesse mansioni, ma con costi e consumi minori e maggiore affidabilità. Ulteriori progressi nel campo dei semiconduttori determinarono lo sviluppo dei circuiti integrati negli ultimi anni '60, che permisero lo sviluppo dei moderni microchip.

Fra i primi tubi a vuoto, vanno ricordati: il diodo o valvola termoionica, inventato dal fisico inglese J.A. Fleming nel 1904 e perfezionato da G. Marconi, utilizzato come raddrizzatore di corrente; e il triodo, dovuto all'ingegnere americano L. De Forest che lo ideò nel 1906, che funge da amplificatore.

:: Piezoelettricità

Nel 1880 i fratelli Pierre e Jacques Curie scoprirono che fra certe facce di cristalli di quarzo sottoposti a pressione meccanica si instaurava una debole differenza di potenziale (eff piezoel. diretto), e, viceversa, che, applicando un campo elettrico al cristallo, questo andava soggetto a deformazione (eff piezoel. inverso).

Il fenomeno si manifesta negli svariati cristalli, dal titanato di bario alla tormalina, dotati di abito cristallino asimmetrico: la compressione del cristallo provoca la polarizzazione della cella cristallina, che si propaga a catena causando la comparsa della d.d.p.

La possibilità che l'effetto offre di convertire sollecitazione meccanica in impulso elettrico (e viceversa), peraltro in un rapporto costante e tramite una reazione quasi immediata, ha suggerito l'impiego di questi cristalli come:

  • trasduttori elettroacustici (pick-up di chitarre elettriche, microfoni a cristallo e altri strumenti di registrazione)
  • risuonatori in oscillatori al quarzo e amplificatori ad alte frequenze.

:: Fotoelettricità

Nel 1897 H. Hertz si accorse che una placca di zinco sottoposta a radiazione ultravioletta si caricava elettricamente. Dopo gli esperimenti di Thomson (1897) che portarono al riconoscimento degli elettroni, apparve chiaro che il fenomeno (effetto fotoelettrico)era dovuto all'emissione di elettroni da parte della superficie del metallo. La descrizione che ne diede la fisica classica non si accordava però con l'esperienza. Infatti, come argomentò Einstein in una delle celebri tre memorie del 1905, sulla scorta degli studi di Plank sul corpo nero, non è l'intensità della radiazione a determinare il verificarsi o meno dell'emissione, quanto la sua frequenza. Questo perché le onde elettromagnetiche viaggiano sotto forma di fotoni di energia E=hν; pertanto, l'energia di un fotone deve essere non minore del lavoro di estrazione, dunque ν0 ≥ We/h (frequenza di taglio). Soddisfatta questa condizione, il numero di elettroni emessi nell'unità di tempo sarà . L'intensità della corrente sarà , proporzionale cioè all'intensità della radiazione e alla superficie di incidenza.

Le fotocellule apri-porte, conta-persone, dei sistemi di allarme, applicano tale principio. Una sorgente emette un fascio luminoso costante (di solito nell'infrarosso) che ricade in un tubo fotoelettrico posto a una certa distanza. L'interposizione di un oggetto interrompe il flusso di corrente nel circuito, facendo scattare un interruttore.

La proporzionalità fra l'intensità della radiazione e l'intensità della corrente è invece sfruttata, ad esempio, negli esposimetri delle macchine fotografiche.


Reostato e potenziometro

Un reostato è un resistore regolabile. E' costituito da un filo avvolto a spirale attorno a un cilindro isolante, i cui estremi terminano su morsetti. A un terzo morsetto è collegato un cursore, che è posto a contatto con il filo ed è libero di scorrere sull'avvolgimento. Esso può essere impiegato:

  • come resistenza variabile;
  • in un circuito potenziometrico.

Nel primo caso, si collegano un morsetto fisso e un cursore in serie al circuito.

Nel secondo, i due morsetti fissi vengono collegati ai poli di un generatore, mentre il carico del circuito va inserito fra uno dei morsetti ed il cursore. In questo modo, la d.d.p. applicata varia da un minimo di 0 (se il cursore è posizionato all'estremità del filo collegata al circuito), ad un massimo pari alla f.e.m. del generatore (se il cursore è dalla parte opposta). Un siffatto circuito, mediante il quale è possibile variare con continuità la tensione da applicare, è detto potenziometro.

I regolatori di volume negli apparecchi audio sono potenziometri.